lunedì 28 ottobre 2013

IL RITORNO DI LILITH 2 - La donna 'buona' e la donna 'cattiva'



Soffro di gelosia fin da quando ero piccolo... da quando scoprii che la mamma era fuggita con un altro bambino (Valerio Peretti)


La chiave della coscienza mitica è dunque l’intuizione, facoltà più simile alla ragion pura che non alla mente analitico-discorsiva. L’intuizione ha bisogno di sviluppare una linea complessiva e, se anche non può essere sottoposta a verifiche scientifico-causali, è però concreta ed esatta sul piano dell’esperienza interiore. L’intuizione è empatia, inclusività, ‘sapienza del cuore’ intesa come recettività senza giudizio, ed è la forma più alta di un’intelligenza qualitativamente femminile, localizzata nell’emisfero cerebrale destro di ogni essere umano.[1]
La mente razionale empirica maschile, tutta volta all’analisi e quindi alla scissione della originaria totalità ha  operato una netta separazione tra ‘donna bianca buona’ e  ‘donna nera cattiva’, motivata anche da fattori storici e culturali. Abbiamo la Vergine Maria e la Strega, la donna-angelo e la donna-vampiro, Sofia e Lilith. Un lato della ‘Magna Mater’ originaria è stato stigmatizzato e poi rimosso; di conseguenza  se ne teme la vendetta poiché “es ist ein energetisches Gesetzt, dass alles Verdrängte zum bedrohlichen ‚Schatten’ wird”[2]





Erich Neumann spiega a proposito dell’archetipo primordiale: "L’archetipo primordiale possiede una prerogativa essenziale: esso fonde in sé attributi e gruppi di attributi positivi e negativi. […] Per la confluenza di tanti momenti o simboli  contraddittori nell’unità dell’archetipo primordiale, la natura di esso è paradossale. Esso è invisibile e non rappresentabile.[3]"

Si potrebbe aggiungere ‘come la Vita’, di cui appunto la Grande Madre è simbolo. Essa racchiude anche l’aspetto doloroso della caducità di ogni forma e quello infero dell’inconscio come potenza notturna istintuale che entra in conflitto con la crescita della coscienza e della consapevolezza. La Grande Madre produce infatti l’uovo cosmico bianco-nero; l’Archetipo del Femminile, cioè,  contiene gli opposti e la vitalità del mondo viene garantita proprio dal loro incessante gioco. Terra e cielo, morte e vita, notte e giorno, sono relativi l’uno all’altro, si connettono e si bilanciano reciprocamente.   


Scrive ancora Neumann: "Nel corso dello sviluppo ulteriore verso i valori patriarcali e verso il dominio degli dèi maschili della luce e del sole la dimensione negativa dell’archetipo femminile è stata rimossa. Per tale motivo essa appare oggi come contenuto primordiale e inconscio.[4]"
Nella seguente indagine mitologica ripercorrerò le tappe di trasformazione del mito di Lilith proprio in rapporto al modificarsi e al degenerare della ricezione del Femminile da parte di una cultura  sempre più polarizzata su una prospettiva apollinea-maschile. Una prospettiva che, portata all’estremo, non riconosce le sue stesse radici, ossia la nascita della coscienza maschile solare all’interno delle ‘acque primordiali’ femminili. Così facendo, si rende colpevole di un matricidio interiore che necessariamente provoca una scissione schizoide all’interno della psiche dell’umanità. Ne è prova il mito di Oreste, tormentato dalle Furie, semidivinità ctonie, ossia proiezioni del suo stesso senso di colpa nei confronti dell’uccisione della madre. Una madre adultera, ‘una madre cattiva’, però pur sempre madre.

Estratto dalla mia tesi di Laurea che si può leggere su I figli di Lilith


[1] Sul finire del secolo scorso, passati gli entusiasmi positivisti, si svilupparono molte filosofie che davano ampio rilievo a queste facoltà, come quella di Bergson o quella di Dilthey. Contemporaneamente, sul piano sociale prendeva forza il movimento femminile e in campo letterario si assisteva a una decisa rivalutazione di Lilith.
[2]S. Schaup, op. cit., p. 64 „è una legge energetica che tutto il rimosso si trasformi in spettri minacciosi.”
[3] E. Neumann, La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, Astrolabio, Roma, 1981.
[4] E. Neumann, ibidem, p. 157.

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