lunedì 6 maggio 2013

L'OMBRA DI UN SORRISO



Da un mio compito d'italiano del dicembre 1995, quarta liceo classico a indirizzo linguistico, di cui proprio oggi ho riesumato la brutta copia in uno scatolone tra altri documenti.
Traccia:

“E’ certo una gran cosa che tutti sappiamo avere a morire, tutti viviamo come se fossimo certi avere sempre a vivere…” (dai Ricordi di F.Guicciardini). “il nostro inconscio non crede alla possibilità della propria morte e si considera immortale..” (S.Freud). che significa vivere con la difficile consapevolezza di essere mortali?”




Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?
In queste domande, che Gaguin scrisse su uno dei suoi dipinti, si racchiude tutto il dramma dell’incomprensibilità dell’esistenza umana. Come dice il Guicciardini nei suoi ‘Ricordi’ “tutti viviamo come se fossimo certi avere sempre a vivere…” e in effetti è proprio così: benché la morte sia, alla fine, la nostra unica certezza, il fatto di non sapere quando essa accadrà ci porta a considerare la nostra esistenza immortale. Di conseguenza facciamo progetti, programmiamo i nostri giorni e pianifichiamo il futuro come se le nostre potenzialità fossero illimitate ed eterne. Ma quando la morte si presenta, magari colpendo una persona a noi vicina, allora siamo costretti a metterci in discussione e a porci domande che non hanno risposte razionali perché la fonte del problema è la razionalità stessa.


Purtroppo proprio di recente mi sono trovata in questa situazione, poiché due mesi fa è morto un caro amico di famiglia, Vladimir. I medici gli avevano diagnosticato un tumore allo stomaco e gli avevano dato due-tre mesi al massimo di vita.  Quando è venuto a conoscenza di questo ‘verdetto’, Vladimir è morto. Voglio dire, ha ‘vissuto’ ancora per un mese ma la consapevolezza che la fine ormai incombeva su di lui l’ha annientato lentamente giorno per giorno, uccidendo ciò che in un uomo è di fondamentale importanza: la speranza.
Nietzsche in un suo scritto afferma “Se fissi a lungo lo sguardo nell’abisso, anche l’abisso fissa lo sguardo in te”; ecco, negli occhi di Vladimir potevi scorgere l’abisso, l’angoscia di un uomo che è lucidamente consapevole di star morendo. In quegli occhi erano riflesse tutte le paure, tutto l’ignoto, tutto l’oscuro e l’irrazionale, tutto ciò che sentiamo di non possedere e di non comprendere: quegli occhi, quello sguardo vitreo non potevano non farti precipitare nell’inquietudine e nel tormento.
In fondo, ho pensato, siamo tutti nelle condizioni di Vladimir, solo che non lo sappiamo. Da quando siamo nati, tutti quanti stiamo lentamente morendo e il fatto che il nostro inconscio  si rifiuti di credere alla possibilità della propria morte non è altro che un bene. Come sostiene il Guicciardini, forse è la natura stessa che ci ha predisposti a considerare la vita come se fossimo immortali: se ci cristallizzassimo sul pensiero della morte, forse ci succederebbe quello che è successo a Vladimir, cioè moriremmo veramente. Non ci sarebbe più senso in niente, né in un sorriso né in una lacrima, soltanto “ignavia e torpore”.


Anche se non possiamo eludere il problema dell’esistenza, che è strettamente legato al problema della sua fine, è altrettanto vero che le nostre domande esistenziali sono probabilmente destinate a restare senza risposte definitive e rassicuranti…e noi destinati a un’inquieta ignoranza. Thoreau, ad esempio, a chi chiedeva la sua opinione sulla morte e sull’aldilà rispondeva semplicemente “Un mondo alla volta”. 
Io credo che la maggior parte di noi cerchi, con la sua vita, di dare un senso alla sua morte, magari provando a vivere più a fondo ogni giorno in modo  da ‘cogliere l’attimo’ , tanto per usare uno stereotipo.
Eppure ci sono anche coloro, pochi in verità, che con la loro morte cercano di dare un senso alla loro vita: mi riferisco ai martiri di ogni ideale o fede o, per citare un caso recente, a quella ragazza che ha deciso di non curarsi pur di far nascere il bimbo che portava in grembo.


Questo mi porta a pensare che l’amore, inteso come il donarsi, l’emanciparsi dal proprio ‘io’ e dal proprio egoismo è forse l’unica cosa che può vincere e trascendere la morte dando allo stesso tempo un senso alla vita. L’amore ci riporta a uno stato di purezza e a una libertà originaria: in fondo arriviamo a mani vuote e a mani vuote ce ne andiamo. Parafrasando il Bembo, nell’ultimo viaggio non ci accompagneranno né le ricchezze né le glorie né gli onori  ma forse solo o soltanto i nostri amori.
Io ricordo che quando Vladimir è morto, dal suo volto è scomparsa ogni traccia di morte accumulata in quel lungo mese di angoscia. Sul suo volto è invece scesa una specie di pace luminosa, come l’ombra di un sorriso. E io ancora una volta mi sono chiesta cosa sia la morte e mi è balenato in testa un brano di chissà quale libro “Poco prima di morire, Gertrude Stein chiese ‘Qual è la risposta?’ Non ci fu risposta. Lei rise e disse ‘In tal caso, qual è la domanda?’ Poi morì”.



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Sara Bini Le Vie per l'Armonia

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