lunedì 25 febbraio 2013

LETTERA A DIO e La Parabola del Figliol Prodigo





Nella sua cupa disperazione, questa canzone della vedova di Kurt Cobain,  Courtney Love, rappresenta per me il grido estremo che porta  l’essere umano ad alzare infine gli occhi al cielo. Non è soltanto un grido di rabbia, una richiesta di spiegazione, una ricerca di un senso. C’è anche una rivisitazione di sé stessi e del proprio vissuto, fatta con sincerità e umiltà.  Si prende atto della vulnerabilità e della debolezza della propria personalità e tendiamo in alto la mano, come se tornassimo di nuovo bambini. E’ da questa consapevolezza che può entrare qualcos’altro in noi e che può cominciare a filtrare la luce.



Sento particolarmente autentici e toccanti i versi ‘Ormai sono stata tutto’ e ‘Non sento niente’. E’ come se fosse finita la sete delle esperienze puramente umane, una sete che va a spegnersi in una sorta di insensibilità. Mi viene da pensare a una saturazione emotiva, come se ormai fosse stato sperimentato tutto e come se questo teatrino di gioie e dolori avesse già dato ciò che doveva dare.  
Di recente ho vissuto sulla mia pelle un sentimento bruciante come questa canzone a mio avviso esprime. Era un periodaccio e decisi di andare a un seminario di trasformazione personale dove il relatore, Salvatore Brizzi, iniziò a parlare della parabola del Figliol Prodigo. 


L'avrò sentita mille volte, ma quella era la volta per riceverne il messaggio. Quando Salvatore  ha letto il seguente passaggio, ho sentito vibrare le corde più profonde del mio essere,  mi sono commossa:  Ma quando ebbe speso tutto, in quel paese sopraggiunse una grave carestia ed egli cominciò ad essere nel bisogno. Allora andò a mettersi con uno degli abitanti di quel paese, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Ed egli desiderava riempire il ventre con le carrube che i porci mangiavano, ma nessuno gliene dava. Allora, rientrato in sé, disse: “Quanti lavoratori salariati di mio padre hanno pane in abbondanza, io invece muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre, e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e davanti a te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi lavoratori salariati.” Egli dunque si levò e andò da suo padre. Ma mentre era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. E il figlio gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e davanti a te e non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”.




'Oltre il fallimento c'è l'Amore' ha scritto una volta un mio collega counselor Gianluca Lisi. E’ il senso del Ritorno, come ho scritto in una poesia molti anni fa. Arriva un punto, un momento in cui, allontanandoci dal Centro di noi stessi, dal Centro della Vita, finiamo col mangiare il mangiare dei porci. E va tutto bene, così deve essere. In questo Gioco, intessuto di luci e di ombre, di coppie di apparenti opposti, occorre  separarci per  gioire nel ricongiungerci, partire per  ritornare, smarrirsi per finalmente ritrovarsi.

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Sara Bini Le Vie per l'Armonia

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